lunedì 4 febbraio 2008

GIANFRANCO FINI E IL 68



ROMA - Scatta il revisionismo anche a destra. Ma questa volta di ”cose di sinistra”: Gianfranco Fini riscopre il '68. Il centrodestra, ammonisce il leader di An, non deve commettere lo stesso errore di quarant'anni fa, quando lasciò alla sinistra la contestazione e determinò una frattura insanabile con il mondo giovanile. Fini abbandona il copione della retorica anti-sessantottina tanto da spiazzare, col suo intervento, non solo gli organizzatori del convegno sui quarant'anni dal '68 (la fondazione ”Liberal” di Ferdinando Adornato), ma anche gli altri due ospiti, moderati da Angelo Sanza, invitati a ridiscutere l'anniversario: Josè Maria Aznar e Pier Ferdinando Casini, che si lanciano in un duro atto di accusa contro il '68.Per Aznar, in quell'anno si verificò una «incomprensibile revisione dei valori che portò a definire romantici o rivoluzionari omicidi e atti di terrorismo». Nel mirino dell'ex leader popolare tutti i simboli di quegli anni. Come Che Guevara, «un terrorista sanguinario, un paranoico dipinto come un rivoluzionario e divenuto un mito». Casini segue la traccia dell'ex premier spagnolo. Le cose «positive» di quell'anno, sostiene l'ex presidente della Camera, come il desiderio di pace, la critica alla scuola, la rivolta generazionale, la partecipazione delle donne «hanno avuto un'inaccettabile degenerazione». E così «la pace è divenuta pacifismo»; il «dittatore» Fidel Castro un «eroe»; il diritto di sciopero un «dovere di protestare»; i terroristi delle Br un «nemico in guerra con lo Stato».Tocca a Fini. Il suo, come fa subito capire, non sarà un intervento banale. «Farò delle considerazioni non al 100% in sintonia con quanto detto finora», premette attirando l'attenzione della platea. In quegli anni vi furono «diversi fenomeni», ricorda l'ex ministro degli Esteri, «e più che '68 dovremmo parlare di contestazione giovanile». Un movimento, sottolinea, che aveva uno «spirito tutt'altro che negativo». Cita la cantautrice Joan Baez, la rivolta alla Berkeley University, i figli dei fiori, i Beatles, i capelli lunghi e persino il Piper, la discoteca romana in voga in quegli anni. Parte da qui la sua autocritica. Per Fini, la destra commise un duplice errore: quello di non ascoltare chi sosteneva che quel «magma» non era necessariamente destinato ad «alimentare il seme del comunismo» e quello, altrettanto grave, di ergersi a difensore «dell'esistente anzichè capire la voglia di cambiamento dei giovani». Insomma, spiega, «la destra italiana ha perso una grande occasione», lasciando che il vuoto della cultura cattolica e liberale fosse «riempito dall'ideologia marxista». Ma, ribadisce, «non era inevitabile che quel movimento finisse a sinistra, c'è finito per l'incapacità della destra». Un'analisi impietosa che tuttavia può essere di insegnamento ora. «Credo che oggi ci siano gli stessi fermenti di allora», spiega infatti Fini, citando la definizione di un libro in cui i giovani sono descritti come la «generazione dei Tuareg», perchè camminano in un «deserto di valori». C'è dunque bisogno di una «offensiva culturale» che dia «risposte ai figli o ai nipoti dei sessantottini», che hanno la stessa «ansia di cambiamento» che c'era nel '68. Un compito, rimarca, che rappresenta la vera sfida del centrodestra: «Batteremo la sinistra e i sessantottini di professione quando strapperemo a loro la bandiera autoillusoria di unici lettori della societa».Un discorso «istituzionale» gli chiede qualcuno, intravedendo nel tenore del suo discorso un'autocandidatura alla presidenza di un ramo del Parlamento. «So dove vuole andare a parare, ma non attacca», taglia corto Fini lasciando la sala.
Articolo tratto dal Messaggero del 3 febbario 2008

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