venerdì 17 luglio 2009

Berlusconi firma le ordinanze per la ricostruzione pesante e gli indennizzi alle attività produttive.



Entreranno in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, le ordinanze per la “ricostruzione pesante” e gli indennizzi alle attività produttive firmate dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 9 luglio, a poco più di tre mesi dal terremoto che ha colpito l’Abruzzo.

La n. 3790 indica nel dettaglio le modalità e le diverse tipologie di contributo per la ristrutturazione o la ricostruzione degli edifici gravemente danneggiati o distrutti dal sisma e classificati con esito di agibilità “E”. Le domande vanno presentate entro 90 giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza in Gazzetta Ufficiale.

La n. 3789 contiene invece le disposizioni a favore dei titolari di attività produttive – ma anche dei soggetti che esercitano attività culturali, ricreative, sportive e religiose – che hanno subito conseguenze sfavorevoli per effetto del sisma.Le domande vanno presentate entro 60 giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza in Gazzetta Ufficiale.

Fonte http://www.protezionecivile.it/

giovedì 9 luglio 2009

IL G8 A L'AQUILA ORGOGLIO PER LA NOSTRA CITTA'


Il G8 a L'Aquila: una geniale intuizione di Silvio Berlusconi e Guido Bertolaso che hanno nuovamente acceso i riflettori del mondo intero sulla grande sciagura che si è abbattuta il 6 aprile sulla nostra città. Le critiche che alcuni continuano a muovere sulla gestione della ricostruzione sono prive di fondamento, sono i fatti che parlano. Oltre 70.000 sfollati collocati nelle tendepoli, negli alberghi e negli appartamenti; tutti i monumenti puntellati insieme ai palazzi storici grazie alla preziosa opera deiVigili del fuoco e dei volontari; cantieri aperti per la costruzione delle abitazioni durevoli; un decreto approvato nel mese di aprile e già convertito in legge; ordinanze pubblicate da più di un mese per gli interventi nelle abitazioni di tipo A, B e C.
Credo al contrario che la linea del volere criticare tutto e tutti ad ogni costo di certo non giovi a noi aquilani e alla nostra città.



IL VALORE DI UN MESSAGGIO CHE PARTE DALLA CAPITALE DELL'ORGOGLIO D'ITALIA di Gianfranco FINI

Economia come fattore di progresso umano e politica come capacità di costruzione del futuro. Indicherei in questi due punti il messaggio che mi auguro arrivi dal G8, in apertura oggi all'Aquila. C'è bisogno di un segnale forte di speranza in questo 2009 che è stato definito l' "anno terribile" dell'economia mondiale e che vede riproposti i grandi temi della distanza tra aree povere e aree ricche del pianeta, dei cambiamenti climatici, della promozione dei diritti umani nei Paesi in cui sono limitate o non sufficientemente tutelate la libertà e la dignità delle persone.La necessità di una approccio globale ai problemi che riguardano l'avvenire dell'umanità trova importante riscontro nell'idea, adottata nel vertice di questi giorni, dei "formati" allargati sia ai Paesi del G5 (Brasile, Cina, India, Messico, Sud Africa) e all'Egitto sia, per quello che riguarda l'ambiente e la sicurezza alimentare, al Major Economies Forum e, in relazione alle tematiche africane, all'UA e ad altri Paesi del Continente. L'urgenza di fissare una serie di princìpi condivisi per promuovere un modello di sviluppo globale più solido, più giusto, più vicino alle esigenze reali di uomini e popoli spinge verso una governance maggiormente rappresentativa della nuova geografia economica mondiale e, nello stesso tempo, più idonea a far rispettare le regole etiche per la trasparenza dei mercati e i parametri legali minimi per la difesa dell'ambiente e dei lavoratori. L'Italia sta svolgendo una importante iniziativa per l'affermazione di nuove norme globali interpretando con grande serietà il suo ruolo di Paese che ospita il G8 e rivelando l'alta qualità del suo contributo alla costruzione di un sistema solidamente fondato sulla legalità e la solidarietà. Un grande messaggio di solidarietà è nella stessa scelta di tenere il vertice nella città, L'Aquila, che abbiamo considerato in questi mesi la capitale del dolore e dell'orgoglio d'Italia. La popolazione abruzzese deve continuare a ricevere il segno visibile della vicinanza dell'intera Nazione e delle Istituzioni. Il fatto che l'Italia si presenti al mondo unita intorno alla terra che ha conosciuto la devastante sciagura del terremoto esprime al meglio un senso forte di coesione e fratellanza.Una immagine bella e solidale del Paese e un'opportunità concreta per la Regione. Perché il G8 all'Aquila richiamerà l'attenzione internazionale sull'Abruzzo e potrà pertanto attirare risorse che contribuiscano al rapido ripristino dei monumenti storici danneggiati e alla valorizzazione delle energie del territorio. Solidarietà nazionale e solidarietà globale: tra i due termini c'è un continuum necessario. Le Nazioni capaci di rafforzare la coesione sociale e territoriale al proprio interno attorno ai princìpi di condivisione, responsabilità e umanità sono, nello stesso tempo, Nazioni che possono fornire un grande contributo alla realizzazione di un sistema economico internazionale più giusto e più umano. Il mio augurio è che i lavori del G8 si ispirino al principio guida del people first, prima di tutto le persone. Ritengo infatti che lo squilibrio tra economia finanziaria ed economia reale che ha causato, nell'ultimo anno, recessione e distruzione di ricchezza sia stato legittimato e accompagnato dall'affermazione di un ideologismo lontano, come tutti gli ideologismi, dai problemi concreti dei popoli. E' da ascoltare, in queste intense giornate di incontri e di dibattiti, anche l'invito che viene ai grandi della Terra da Papa Benedetto XVI, che nell'enciclica sociale "Caritas in veritate", pubblicata due giorni fa, auspica l'affermazione di un modello economico fondato sull'uomo. Tra i suggerimenti del Pontefice anche l'idea di una governance ispirata al principio di sussidiarietà: «Si tratta di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano». Ristabilire l'equilibrio tra finanza e produzione, per renderle sempre più adatte a promuovere la crescita e la dignità delle persone, è il grande compito che spetta alla politica degli Stati che guidano lo sviluppo mondiale. Un grande compito e una grande sfida che vede l'Italia in prima fila e che tutti dobbiamo vincere.

Fonte Il Messaggero dell'8 luglio 2009

mercoledì 8 luglio 2009

PRESIDENTE BERLUSCONI GRAZIE!!!!!!!!!!!!!!


Presidente Berlusconi grazie!! Grazie di cuore per tutto quello che sta facendo per la nostra città.

Il dramma che stiamo vivendo ci porta ad essere completamente coinvolti dai mille problemi che assillano nella quotidianeità chi non ha più certezze per il futuro e desidererebbe vedere la propria città tornare immediatamente all'antico splendore.
Purtroppo non è così la ricostruzione richiede tempi non brevissimi e noi ne siamo consapevoli, così come siamo consci di quanto Lei si sta impegando in prima persona per la nostra l'Aquila.
Noi crediamo nei suoi programmi, nel suo impegno ed abbiamo grande fiducia, Le chiediamo con il cuore di non mollare e continuare sulla strada già tracciata.
Presidente Grazie!!!!!!!!!!!!!!!!

mercoledì 24 giugno 2009

CI SIAMO E TORNEREMO A VOLARE!!!


lunedì 23 marzo 2009

L'INTERVENTO DI GIANFRANCO FINI AL CONGRESSO DI ALLENZA NAZIONALE



Care delegate e cari delegati del congresso nazionale di Alleanza nazionale, qualche giorno fa parlando con i giornalisti sono stato buon profeta, ma era una scommessa vinta in partenza: un po´ di emozione c´è. C´è nel riprendere la parola dopo dieci mesi dall´ultima volta per rivolgermi ancora al mio partito, a tutti quanti voi che rappresentate le centinaia di migliaia di iscritti di Alleanza nazionale, rivolgermi ancora per vostro tramite ai milioni di italiani che nel corso degli anni ci hanno dato tanta fiducia. C´è questa emozione, non soltanto per un naturale sentimento ma anche perché mi è ben chiaro che se colui che fu segretario del Movimento sociale italiano e poi presidente di Alleanza nazionale può oggi essere presentato a una platea con la qualifica di presidente della Camera dei deputati, la terza carica dello stato, è unicamente o in gran parte in ragione dell´impegno, della passione, della dedizione e del sacrificio di tutti coloro che per tanti e tanti anni hanno dato tutto senza chiedere assolutamente nulla. Se oggi i nostri dirigenti possono rivolgersi a voi e ai tanti vostri iscritti rivestendo incarichi istituzionali, se parlano da questo palco i ministri, il sindaco di Roma, donne e uomini che hanno sulle spalle rilevanti impegni istituzionali, diciamolo con sincerità, ricordiamolo con orgoglio e con umiltà: lo dobbiamo a una lunga e bella storia di impegno politico, nel senso più alto del termine. Ed è la ragione per la quale avverto innanzitutto il dovere di dire grazie a tutti coloro che per decenni interi, in ogni parte d´Italia, in momenti particolarmente aspri e difficili, hanno sempre tenuto la schiena diritta e hanno sempre avuto nel cuore un grande, grande amore per la propria terra, per la nostra Italia.La forza di Alleanza nazionale, la forza della destra è sempre stata in questo rapporto stretto che si è creato nel corso del tempo, che è cambiato, come è naturale che fosse, con l´evolvere della situazione nazionale, degli assetti sociali; ecco, lo dobbiamo ricordare, con umiltà senza arroganza, anche per rendere non soltanto doveroso ma sincero il tributo, in questo caso non di gratitudine, ma di sincera commozione verso coloro che non hanno vissuto i momenti belli, verso coloro che hanno chiuso gli occhi prima di vedere la destra vincente, verso coloro che per una vita intera hanno sperato che questo desiderio potesse diventare realtà. Non è retorica, è consapevolezza. E coloro che hanno parlato ieri e oggi, non a caso hanno voluto rendere omaggio ai nostri caduti e contemporaneamente alla lungimiranza dei nostri maestri politici. Dobbiamo ricordarle queste cose, dobbiamo ricordarle oggi che, diciamolo con nettezza e sincerità, si chiude una fase, una lunga fase della storia della destra politica del dopoguerra. Oggi che nell´album, bello, dei ricordi va anche un simbolo che ha animato, in alcuni casi per interi decenni, la passione politica di tanta, tanta, tanta brava gente. Ricordiamocelo oggi con orgoglio e al tempo stesso con umiltà, che non sono due parole in contrapposizione tra di loro: l´orgoglio di chi sa che se oggi può parlare a voi come presidente, come sindaco di Roma o come ministro della repubblica, se oggi si compie questo atto così solenne e significativo non è non è stato in ragione di un regalo di qualcuno. Non c´è stato nessuno sdoganamento, che è parola che non mi piace e non mi è mai piaciuta perché è relativa alle merci; non si sdoganano le idee. Le idee o si affermano o non sono in grado di vincere la loro battaglia. E, lo possiamo dire, abbiamo avuto in questi lunghi anni la capacità di affermare quelle idee. Con umiltà, senza nessuna arroganza. Non c´è stato regalo, non c´è stata la grazia ricevuta, non c´è stato sdoganamento. C´è stata tanta, tanta tanta strada faticosamente percorsa. Non ci può essere arroganza, ci deve essere umiltà. Perché dobbiamo certamente gratitudine ai nostri elettori e, come cercherò di dimostrare nel corso del mio intervento, dobbiamo gratitudine ai nostri alleati in questi ultimi quindici anni. Dobbiamo ricordarlo oggi, con umiltà e con lungimiranza, con intelligenza politica, oggi che ci accingiamo a un passo che non è soltanto solenne, impegnativo, importante per la nostra storia. Oggi possiamo dire di accingerci a un passo che è importante per la storia dell´Italia. È già capitato, nel passato anche recente, che la nostra comunità politica dimostrasse la maturità, la consapevolezza, la capacità per cogliere un particolare momento storico. È accaduto in modo particolare nel 1994 quando lo "spappolamento" della prima repubblica mise finalmente la destra italiana in grado di raccogliere il consenso. È stato detto ed è vero che molta della storia di Alleanza nazionale nasce nel momento in cui le candidature di esponenti del Movimento sociale italiano nelle elezioni comunali di Roma e di Napoli raggiunsero consensi inimmaginabili. Quello fu un momento in cui la destra fu capace di cogliere un momento storico. Questo è un momento diverso e per certi aspetti più importante.Oggi siamo chiamati non a cogliere un momento ma a costruirlo. Oggi non prendiamo un´occasione, non abbiamo il tempismo di una scelta, oggi compiamo una strategia, oggi mettiamo una pietra e decidiamo, noi, coscientemente di farlo, nessuno ci costringe, di mettere una pietra in quello che è un atto che certamente ha rilevanza storica non solo per noi, non solo per la nostra storia, non solo per la nostra gente, ma per la nostra patria. Dobbiamo esserne coscienti. E, proprio perché, come scrivemmo in un fortunato slogan di un altro congresso, siamo, siete, gente con l´anima, gente con la passione, gente con il desiderio di impegnarsi nelle cose in cui crede, è stato giusto dar vita non solo a questo bel congresso ma a tutte le assemblee che hanno preceduto il congresso, da quello della più piccola sezione a quella di tutte le nostre federazioni. Ed è stato giusto che in quelle assemblee, in questa assemblea, risuonassero anche i dubbi, fosse posto alla classe dirigente il quesito circa la bontà della scelta che ci accingiamo a compiere e al tempo stesso le ragioni della medesima.È stato detto da più parti: dove andiamo? Perché ci andiamo? E credo che la risposta per certi aspetti sia quanto di più doveroso e necessario per chi ha avuto la responsabilità di guidarvi, ma che al tempo stesso sa che la risposta non è facile. Vedete, a questo quesito non retorico hanno per certi aspetti risposto innanzitutto coloro che il congresso lo hanno aperto. Lo ha fatto certamente Ignazio La Russa che ringrazio non solo per la relazione ma anche per l´impegno con cui ha retto le sorti di Alleanza nazionale in questi ultimi dieci mesi. So di aver dato a Ignazio un compito non facile per tante ragioni, ma sapevo anche di affidare il timone del partito in mani salde. Lo ha fatto, per certi aspetti in modo ancor più significativo prima di lui Franco Servello, un uomo che come Mirko Tremaglia è la continuità di una storia. Che cosa hanno detto, Franco Servello, Ignazio La Russa e Mirko Tremaglia con quel commovente ricordo di Marzio? Che la stella polare del lunghissimo cammino della destra politica italiana, da quando nasce il Movimento sociale italiano che raccolse la generazione che non si è arresa fino ad oggi, che la stella polare è sempre stata una e una sola: l´amore per l´Italia, l´amore per la terra dei padri, l´amore per la patria, il voler privilegiare alla fazione la nazione, il voler anteporre a un interesse particolare, un interesse generale. Sarebbe retorico e sarebbe storicamente inesatto se io dicessi, "è sempre stato così". Sessant´anni di storia sono stati anni in cui ci sono stati luci e ombre, anche nella destra italiana. Ma non c´è dubbio che la stella polare era quella, amici miei, chi era a Fiuggi ha ben evidente e ben chiaro che nell´ambito di quella strategia si mise quindici anni fa il primo anello di una lunga catena. Quando a Fiuggi decidemmo di uscire dalla casa del padre con le lacrime, con tutti i dolori che comporta un frattura, quando in quell´occasione dicemmo con la certezza che non vi faremmo mai più ritorno. E lo voglio dire oggi: lo facemmo con convinzione. Erano in tanti, tra gli osservatori, coloro che si chiedevano: ma lo fanno con convinzione? Lo fanno perché sanno che può essere utile in termini di consenso o lo fanno perché sono convinti della bontà di alcune decisioni e anche di alcuni giudizi molto netti? Oggi posso dirlo a nome di tutti: lo facemmo perché eravamo convinti. E abbiamo dimostrato quella convinzione nei momenti più difficili, nei momenti in cui ci sono state le polemiche, nei momenti in cui avevamo perso le elezioni, nel momento in cui amici che erano stati con noi hanno fatto un´altra scelta e se non sono andati. Non siamo tornati indietro. Quell´anello è un anello di una lunga catena. Ed è un anello che ha rappresentato innanzitutto la conferma di una scelta: considerare il partito unicamente uno strumento, non un valore in sé. Un partito, lo ha detto molto bene Servello, non è mai un valore. Un partito è un mezzo, uno strumento, è un modo attraverso il quale si cerca di raggiungere un obbiettivo. L´obiettivo era, fin dal primo momento, l´amore per la nostra terra, la pacificazione nazionale, una maggiore coesione sociale, un ritrovato prestigio internazionale dell´Italia. Il partito derubricato a strumento. Il partito inteso non come valore in sé ma come mezzo per raggiungere un fine. E se questo era ed è, allora il partito non poteva vivere di ideologie. Fiuggi ha rappresentato la nascita della destra post-ideologica. Di una destra che, rifiutando l´ideologia, in qualche modo condannava al passato e giudicava negativamente ciò che nel passato aveva rappresentato il tasso ideologico della destra politica. A Fiuggi non abbiamo fatto i conti con la nostalgia. A Fiuggi abbiamo fatto i conti con lo stato etico, che non appartiene a una democrazia, abbiamo fatto i conti con una concezione dell´economia di tipo corporativo che non appartiene ai tempi moderni, abbiamo archiviato una fase e abbiamo affermato la nostra volonta non di preservare delle memoria, compito quanto nobile quanto limitato a una stagione politica. Abbiamo affermato la nostra volontà di cominciare a costruire il futuro.E lo abbiamo fatto dicendo con chiarezza che non ci poteva essere da parte dei nostri militanti alcuna presunzione di superiorità morale nei confronto degli altri. Fiuggi ha rappresentato un punto di svolta non solo perché abbiamo fatto i conti col passato. Proprio perché abbiamo ribadito che la libertà è il primo valore dell´uomo, che la democrazia è il primo valore delle istituzioni, non abbiamo esitato successivamente a onorare con i fatti, con parole nette, parole di condanna nei confronti della storia italiana tra le due guerre. Ma insieme a quell´atto abbiamo bandito il concetto di superiorità. Non siamo superiori agli altri, non ci sono i nemici. Ci sono gli avversari. Compito della destra è stato da quel momento quello di dar corso a una politica finalizzata a costruire un presente migliore in vista di un futuro che lo fosse ancor di più. Abbiamo archiviato la lunga fase della cosiddetta "alternativa al sistema" e abbiamo iniziato a dar vita a un´azione politica volta all´ammodernamento del sistema italiano. Dalla logica del nemico alla logica dell´avversario. Così come disse, fra i tanti, con lucidità maggiore rispetto a quella di tutti gli altri, colui che è certamente uno dei padri della destra italiana negli ultimi quindici anni: Pinuccio Tatarella. Il nemico è colui che o sconfiggi o ti sconfigge. L´avversario lo puoi battere o ti può battere, ma il giorno dopo continua la competizione. Ci sono dei valori condivisi. Fiuggi non è soltanto la fine delle ideologie, la fine del nostalgismo. Fiuggi è una fase in cui si passa da un´alternativa a un sistema dei partiti, basata su una presunta quanto inesistente superiorità di tipo morale della destra a una fase in cui si cerca di costruire una democrazia dell´alternanza, un sistema bipolare. È la fase in cui si inizia a parlare di una destra che doveva dimostrare di avere cultura di governo anche quando gli elettori democraticamente gli assegnavano il ruolo dell´opposizione. E proprio perché credo che sia un dovere quello dell´onesta al termine di una stagione nello stesso momento in cui si chiude una fase e se ne apre un´altra, non ho alcuna esitazione a dire che non sempre siamo stati sempre all´altezza di quel compito così alto di cultura di governo, perché in alcuni casi non tutti fra di noi avevano ben chiaro che la cultura di governo non significa cultura di potere, non significa concepire il partito come strumento per occupazione dei posti di potere o di sottopotere. E lo voglio dire in assoluta schiettezza: quando leggo - e ringrazio tutti i giornalisti, coloro che hanno scritto commenti condivisibili, coloro che hanno scritto commenti negativi, sempre con onestà intellettuale - che An, secondo qualcuno, non dovrebbe essere sciolta perché verrebbe meno il potere per condizionare alcune scelte e magari piazzare i propri uomini in questo o quel consiglio di amministrazione, bè lasciatemi dire che se fosse così allora dovremmo scioglierla davvero. Perché Alleanza nazionale non doveva essere un partito di potere ma un partito con cultura di governo. Che è cosa del tutto diversa. Ci sono state le luci e le ombre. Non c´era la superiorità morale. C´è stata forse, in alcuni momenti, una maggiore predisposizione per una cultura di potere. Ma non c´è dubbio che fu a Fiuggi che gettammo il primo seme di quello che, successivamente, è divenuto il Popolo della libertà. Il primo seme proprio perché chiamava a raccolta tutti gli italiani in una logica post-ideologica, in una logica finalizzata alla costruzione del futuro, in una logica più moderna, più europea di una democrazia dell´alternanza. Sono stati quindici anni con alti e bassi, come è naturale. Dobbiamo però essere orgogliosi perché sono stati quindici anni di linea politica in qualche modo strategicamente orientata verso uno solo obiettivo. In questi anni il tatticismo ha prevalso nella politica italiana. Qualche volta, diciamolo, anche noi abbiamo fatto il peccato di privilegiare la tattica alla strategia, ma si è trattato di piccoli peccati lungo un percorso che al contrario è stato lineare. La strategia a Fiuggi è stata quella di far nascere l´alleanza nazionale, l´alleanza tra gli italiani e, oggi, si compie quel percorso. Quindici anni di coerenza strategica, quindici anni in cui abbiamo privilegiato alleanze rispetto a spinte isolazionistiche e identitarie, quindici anni in cui abbiamo perseguito l´obiettivo attraverso il sostegno a tutte quelle iniziative, a partire dalle iniziative referendarie, volte a rendere irreversibile il sistema bipolare e più solida una democrazia dell´alternanza, quindici anni di alleanza con gli amici di Forza Italia, quindici anni di sostegno a tutte le iniziative volte a consegnare al passato la partitocrazia, il proliferare degli schieramenti più o meno identitari, i reduci dell´armamentario ideologico del secolo scorso per costruire un´Italia nuova. Quindici anni, e ha fatto bene a ricordarlo Ignazio La Russa, di alleanza con Berlusconi e Forza Italia nella buona e nella cattiva sorte. Ma sempre comunque un´alleanza consolidata: perché Berlusconi ha rappresentato, lo ha detto bene Alemanno, colui che ha messo in moto una politica che rischiava di impantanarsi, ha rappresentato le speranze e in alcuni casi le paure degli italiani. Ha rappresentato tutt´altro che una meteora, tutt´altro che il leader di un partito di plastica, tutt´altro che un approccio incomprensibile agli occhi degli italiani, perché il tempo è galantuomo, perché in democrazia sono gli elettori che danno e tolgono le patenti. Forza Italia ha rappresentato una novità nel panorama politico italiano e proprio perché era una novità che non aveva le sue radici nel passato ma in qualche modo, proprio in ragione di non avere un passato ideologico, cercava di gestire il presente e di costruire in ragione delle proprie capacità il futuro, era più che naturale che Alleanza nazionale nel corso di questi quindici anni desse vita a un´alleanza strategica col partito di Berlusconi.
Abbiamo avuto momenti difficili, abbiamo avuto gli alti e i bassi ma, nell´arco di questo quindicennio che ha cambiato la storia italiana, non è mai accaduto che tra noi e il partito di Berlusconi ci fosse il momento della rottura insanabile. È capitato con altri. Alcuni questa rottura non l´hanno ancora ricucita, altri questa rottura l´hanno metabolizzata e si è tornati a un´alleanza. È certo comunque che tra la destra italiana e il partito fondato da Berlusconi c´è stato un lungo cammino fatto di incomprensioni, fatto di polemiche, fatto di asperità ma fatto anche di un lungo filo conduttore: cercare di costruire un´Italia che fosse diversa, che fosse migliore , che non avesse l´occhio proiettato verso il passato, che non avesse nostalgia di un centro in cui ogni mediazione è capace, non tanto di guidare la politica, quanto di ammorbidirne le asperità. Un´alleanza che che era finalizzata un progetto per il nuovo secolo. E oggi, dando vita al Pdl o vita al Pdl si compie l´ultimo anello di questa lunga strategia. Perché oggi, a mio parere, le condizioni ci sono? Innanzitutto perché questi quindici anni hanno reso possibile un´alleanza, non soltanto tra le classi dirigenti, che per certi aspetti è l´alleanza meno solida; in questi quindici anni è emersa un´alleanza di base tra gli elettori. È emersa un´alleanza fondata su valori condivisi. Il Pdl è nato secondo qualcuno il due dicembre, secondo altri il tredici di aprile nelle urne: che sia nato comunque nelle urne o nelle piazze poco importa, certo è che ha avuto una lunga fase di gestazione e preparazione durata quindici anni. Il Popolo della libertà non è nato a San Babila col cosiddetto discorso del Predellino. In quel momento Berlusconi ha avuto la capacità, nella fase più acuta dello scontro con Alleanza nazionale, di rilanciare. Lo ha rilanciato forse quando nessuno ci credeva più. Ma non c´è ombra di dubbio che questa unione tra la nostra gente e gli elettori di Forza Italia si era consolidata nel corso di un quindicennio. E perché dico un´alleanza basata su valori condivisi? Perché questa è, a mio modo di vedere, la grande differenza che esiste tra il Popolo della libertà e l´altro soggetto politico, il Partito democratico, che ha anticipato un bipolarismo più compiuto attraverso l´incontro, l´unione di storie politiche. È stato detto il Partito democratico ha dato vita a una fusione fredda. Il Popolo della libertà sarà capace di dare vita a una fusione più calda, basata su condivisioni di valori? Il quesito è lecito ma la risposta è per certi versi facile, scontata. Perché oggi Il Pdl può guardare con fiducia a questa alleanza che oggi giunge all´ultimo atto, quello più simbolico, quello che maggiormente coinvolge le emozioni, ma è naturale si si ha ben chiaro quello che è successo in questi ultimi quindici anni. Perché i valori di riferimento ci sono e sono i medesimi. E sono i valori del Partito popolare europeo. Quale è stata la cifra politica della difficoltà del Partito democratico? Non è stata soltanto la questione di una leadership non accettata da tutti, pur avendo avuto Walter Veltroni una larga investitura popolare, le primarie. La cifra politica della difficoltà del Partito democratico è stata nella sua collocazione europea. Nell´impossibilità di dire in quale grande famiglia europea si andava a collocare il nuovo partito che nasceva dall´incontro non sufficientemente metabolizzato tra cultura politiche che in Italia erano state non soltanto diverse fra di loro ma in alcuni case alternative. Vedremo se l´on. Franceschini o la nuova fase dirigente scioglierà questo nodo che è il nodo politico per eccellenza. Perché nel momento stesso in cui la politica italiana è sempre più europea, nello stesso momento in cui le sfide vengono sempre di più fuori dai confini nazionali, non si può essere credibili in patria se si dice "abbiamo dato vita a un grande nuovo partito", e poi essere incerti nella collocazione a Bruxelles nell´ambito delle grandi famiglie europee. Non esiste in Europa una terza via tra Partito socialista europeo e Partito popolare europeo.Era l´illusione del Pd che si basava sull´incapacità di spiegare chiaramente quali erano i valori di riferimento, noi questa difficoltà non ce l´abbiamo. Possiamo avere la difficoltà nella fusione degli organigrammi, possiamo avere la difficoltà in questa o in quella federazione, possiamo avere la difficoltà nella sottolineatura o meno di alcuni argomenti di priorità politica, ma non c´è ombra di dubbio che non abbiamo la difficoltà nell´indicare quelli che sono i valori di riferimento del Pdl. Sono i valori di riferimento del Popolo delle libertà, sono i valori di riferimento del Partito popolare europeo e sono i valori di riferimento capaci di dare una risposta a quelle ansie che non soltanto la società italiana ha, ma alle ansie dell´Europa, alle ansie dell´Occidente. Perché oggi ci sono le condizioni per questa nuova, grande, avventura? Perché la crisi della sinistra italiana non è tanto crisi di consenso, il consenso va e viene, è a mio modo di vedere una crisi di idee. Perché a fronte di quelle che sono le nuove sfide che il futuro presenta alla porta dei popoli è l´armamentario, il bagaglio culturtale della sinistra che oggi mostra la corda. Vi siete resi conto amici miei che negli ultimi 15 anni non perché è nata Fiuggi, non perché è nata Forza Italia, ma anche per An e FI, negli ultimi 15 anni è scomparso dal lessico dei giornalisti, dal lessico dei politici quell´espressione "egemonia culturale della sinistra" che dai tempi di Gramsci in poi aveva rappresentato l´assicurazione per la sinistra italiana della possibilità di avere il consenso? La sinistra italiana oggi è in crisi di idee, non è in crisi di organizzazione. Franceschini fa bene a dire, come ha detto ieri, che hanno un grande partito di sei-settemila circoli. Ma il problema di una grande forza politica, in un´epoca bipolare, con le sfide che oggi sono sulle spalle dell´Occidente, non è soltanto nell´organizzazione, è nelle idee. Ecco perché dobbiamo essere ottimisti sul nostro futuro.Perché se si va a scavare un po´ in quelli che sono i valori del partito popolare europeo, che poi dovremo declinare ovviamente secondo la nostra tradizione nazionale, allora bè forse si ha la risposta a quella che è la crisi dell´Occidente, l´ansia dell´Occidente. Quali sono questi valori? Certamente la consapevolezza del primato della dignità della persona. È il valore principale che va garantito e tutelato da un´azione politica. Non è l´autorità dello Stato, è la dignità della persona. E se il valore cui orientare una politica è quello è di tutta evidenza che lo Stato non può limitare la libertà. Lo Stato deve per certi aspetti esaltare la libertà, lo Stato deve garantire a tutti l´esercizio delle libertà. È una concezione di tipo culturale che ha delle conseguenze quando si affrontano i temi connessi alla sicurezza, connessi alla legalità. La vecchia iconografia della destra legge e ordine oggi va declinata in modo diverso se si è davvero convinti che quello che vogliamo non è l´ordine delle caserme, non è l´ordine imposto contro la libertà, ma è al contrario quell´ordine intimo che c´è in una società coesa laddove è difesa e in qualche modo incrementata la dignità della persona umana, la dignità della persona umana quale che sia il colore della pelle, quale che sia il Dio in cui credi, quale che sia il ruolo sociale. Il primato della dignità della persona. Quella concezione che c´è nel Partito popolare europeo e che stenta ad affermarsi nel Pd o nel Partito socialista europeo, relativa alla necessità di dar vita a un´azione tra i vari organismi istituzionali e i vari corpi sociali che sia improntata a quel principio di sussidiarietà che non è soltanto la sussidiarietà di tipo verticale, è quella sussidiarietà di tipo orizzontale di cui c´è assoluta necessità oggi che lo Stato non è più il Moloch del secolo scorso. Ed è attorno a questi valori e ad altri che si deve poi configurare l´azione di un partito, il Pdl, capace di rispondere ai problemi di oggi. L´altra grande questione, quel valore che è ben chiaro nel manifesto del Ppe, quella sintesi culturale che già a Fiuggi vedemmo prima di altri, quel messaggio attraverso il quale si deve affermare un´economia sociale di mercato che è la sintesi di alcune tradizioni culturali del secolo scorso che non sono cadute in disuso perché continuano a mantenere una loro intima vitalità. Oggi cos´è che manda in crisi molti degli analisti legati agli schemi del passato? È la dimensione della crisi, è la natura della crisi. La crisi dell´economia oggi deriva innanzitutto dal baricentro che negli ultimi tempi il mercato aveva spostato sul dato finanziario. La finanziarizzazione dell´economia ha creato la crisi. Il che sta a significare che se si vuol dare innanzitutto un messaggio non soltanto di speranza ma indicare una via d´uscita dall´attuale crisi, bisogna riportare il baricentro dell´economia a quella che è la produzione reale di ricchezza. L´economia non si può basare esclusivamente sulla finanza perché nello stesso momento in cui lo fa può determinare immediati e facili arricchimenti e altrettanti immediati e facili impoverimenti. Ma non soltanto arricchimenti per pochi, impoverimenti per popoli interi.
E quella ipotesi di economia in cui il mercato sia certamente luogo preposto a sviluppare ricchezza ma sia in qualche modo temperato dall´azione regolatrice delle istituzioni, in quella dimensione sociale che è il fulcro culturale del Ppe, rappresenta non soltanto la risposta che va fornita anche in Italia e in buona parte dell´Europa, rappresenta certamente una risposta che è in piena sintonia con i valori tradizionali della destra italiana e con i valori tradizionali di buona parte delle forze politiche italiane che confluiscono e che danno vita al Pdl. E, sempre nell´ambito di queste risposte a quesiti che non sono quesiti di poco conto, il valore rappresentato nell´ambito del Ppe dalla laicità delle istituzioni. Quel Ppe che da tempo non è più un´internazionale di tipo democratico-cristiano. Laicità delle istituzioni che non può significare in alcun modo negare il magistero della Chiesa, men che meno la dimensione che per definire un´identità di popolo ha l´aspetto religioso. La laicità delle istituzioni significa - perché è un pilastro della nostra cultura occidentale da almeno due secoli - netta separazione, non soltanto come ha detto giustamente ieri Berlusconi "nessun tipo di collateralismo", ma soprattutto affermazione chiara ed esplicita circa il confine che deve separare la sfera privata rispetto a quella religiosa. Perché uno Stato è autenticamente laico nello stesso momento in cui riconosce il valore della religione ma colloca il valore della religione all´interno di scelte che sono di tipo individuale e personale, non possono essere scelte di tipo collettivo.Ecco perché, potremmo citare altri esempi, il Pdl non può che essere, come hanno detto Matteoli e Gasparri, un partito culturalmente plurale. Lasciatemi dire che non deve e non può essere un partito di destra, deve essere un partito in cui certi valori della destra sono il lievito, sono il valore aggiunto, sono l´elemento che è capace di produrre una sintesi politica e di far fare un salto in avanti alla capacità del partito, non soltanto di immaginare il futuro dell´Italia, ma di costruirlo. Un contenitore ampio, arioso, plurale, inclusivo, interclassista, aperto, certamente unitario. Unitario però non può significare "a pensiero unico", perché c´è una contraddizione in termini tra popolo della libertà e pensiero unico. Unitario ma con la pluralità delle opinioni. Un partito certamente democratico, un partito in cui vi siano regole - e lo statuto che Ignazio La Russa ha letto dà queste garanzie - ma altrettanto certamente che mai e poi mai dovrà pensarsi e organizzarsi secondo la degenerazione della democrazia che è la correntocrazia. Lo voglio dire a tutti coloro che entreranno nel Pdl: nessuno pensi all´interno del Pdl di costituire la corrente di An. Perché se questo dovesse essere l´obiettivo, amici miei, valeva la pena allora consumare questo momento? Non era forse più utile e opportuno - se si pensa di poter incidere e determinare quelche cosa in termine di logica di gestione del potere - tenersi un partito, uno strumento del dieci o dodici per cento? Il Pdl non può e non deve avere le correnti organizzate, deve avere un sano confronto di idee e opinioni, di soluzioni dei problemi di oggi e ancor più dei problemi di domani. Un partito quindi democratico ma non organizzato in correnti, unitario ma non a pensiero unico, un partito che si può configurare così proprio perché ha una leadership forte, riconosciuta. Credo che ci sia stato un eccesso di stucchevolezza nel dibattito che ci ha fin qui accompagnati - il leader è uno, i leader sono due, cosa fa Fini - amici miei il Pdl ha un leader che si chiama Berlusconi. È di tutta evidenza. Dopo di che Berlusconi sa che una leadership forte e riconosciuta non può in alcun caso essere il culto della personalità. Perché un conto è essere leader, un conto è pensare che soltanto chi è leader possa dare un contributo di idee, di impegno, di soluzioni politiche, di orientamenti di sintesi. Dopo di che l´ho detto e lo confermo: i leader non si battezzano, i leader non si creano a tavolino, i leader nascono nello stesso momento in cui ci sono le condizioni politiche e ci sono le capacità di chi ambisce a guidare una comunità. Il problema di An e del Pdl non può essere quello della leadership. Il problema semmai deve essere di garantire che il Pdl sia non il partito di una persona ma il partito di una nazione. Che il Pdl sia la capacità di dare le risposte e di individuare un progetto per l´Italia. Perché dobbiamo farlo il Pdl? perché noi dobbiamo immaginare l´Italia fra dieci o quindici anni. E siccome siamo forza di governo, dobbiamo cominciare a costruirla. Come si fa? Altro che testimonianza delle memorie del passato. Vuol dire essere coscienti dei problemi che il paese ha. Vuol dire ad esempio chiedersi quale forma istituzionale debba avere. Mi auguro che questa legislatura sia una legislatura costituente perché l´Italia rischia di avere il passo ancor più lento rispetto a quello di altri paesi europei se non dà vita a una riforma del suo assetto costituzionale che consenta di superare una bella immagine del Censis di qualche anno fa. Secondo quei ricercatori l´Italia assomigliava a un calabrone, cioè riusciva a volare quasi vincendo le leggi della fisica, sembrava impossibile e pur si alzava da terra. Poi per un certo periodo di tempo una sorta di crisalide, di eterna transizione. Il Pdl se vuole immaginare l´Italia di domani e cominciare a costruirla deve farla uscire quella farfalla che c´è nella crisalide. Abbiamo un sistema istituzionale che è superato e non lo si può superare soltanto in un passo dimenticando l´intima coerenza di un sistema. È necessario che ci sia in questa legislatura non tanto una ripartenza sul tema delle riforme istituzionali ma che ci sia consapevolezza che tanto più è necessario affidare a chi è il capo dell´esecutivo scelto democraticamente e liberamente dagli elettori il diritto dovere di governare, tanto più è doveroso affermare per il Parlamento il ruolo di controllare. Il presidenzialismo rimane un punto di approdo indispensabile per un´Italia moderna ma il presidenzialismo non può essere un Parlamento che viene messo in un angolo e al quale si chide di non disturbare il manovratore. Il Parlamento deve tornare ad essere il luogo del controllo. Magari meno leggi in Parlamento, ma più potere di controllo, più potere di indirizzo, perché così funzionano davvero le democrazie che sono orientate nella funzione presidenzialista o semi-presidenziale. Negli Stati uniti, l´inquilino della Casa Bianca è il capo dell´esecutivo più potente del mondo, ma al tempo stesso c´è un Congresso che ha un ruolo centrale, un ruolo di controllo, un ruolo di indirizzo. Una riforma istituzionale è indispensabile per un´Italia più moderna. È indispensabile perché ci sia, dopo il federalismo attuato a livello fiscale, a livello di amministrazioni, un federalismo di tipo istituzionale. Ma che cosa aspetta il Pdl a intavolare nel Parlamento e nel paese una discussione anche con l´opposizione su una politica di riforma istituzionale che rafforzi entrambi i poteri, esecutivo e legislativo? Che cosa aspetta il Parlamento a decretare la fine del bipolarismo perfetto? Non ce li possiamo permettere due rami del Parlamento con identiche funzioni e identici poteri. Il problema non è solamente quello dei regolamenti parlamentari che son datati, è che il tempo per varare una legge è mediamente il doppio rispetto a quello degli altri paesi, per tutti quei meccanismo che fanno sì che se una legge viene modificata di una sola virgola deve tornare nell´altro ramo. E allora una Camera che dà la fiducia, una Camera che ha un grande potere di controllo e di indirizzo e l´altra che rappresenti il territorio, le autonomie, le regioni, che rappresenti quel federalismo diffuso che c´è. Una forma istituzionale nuova. L´Italia tra quindici anni va pensata anche nel suo ruolo internazionale nel suo ruolo euro-mediterraneo, perché quello è il destino italiano nell´ambito di una politica europea che negli ultimi tempi - forse non poteva essere altrimenti vista l´Unione a ventisette e viste le difficoltà dell´Unione in assenza del trattato di Lisbona - sembra aver perso la coscenza che il Mediterraneo è il cuore di buona parte della cultura occidentale, è il cuore di tutti quelli che possono essere i momenti di confronto e, Dio non voglia, di scontro con altre civiltà.
Pensare un´idea dell´Italia nel Mediterraneo e pensare al tempo stesso per i prossimi dieci anni quale sarà il livello di coesione Nord-Sud. La questione del nostro Meridione non può scomparire dal dibattito politico. E lo voglio dire a scanso di equivoci: il pericolo non è il federalismo. Anzi, per certi aspetti il federalismo fiscale rappresenta un´opportunità di responsabilizzazione della classe dirigente meridionale. Forse, se ben attuato, il federalismo sarà proprio il grimaldello che farà saltare alcune logiche clientelari, alcune logiche para-mafiose. Ma il problema del nostro Sud è nella debolezza dello Stato. Perché non c´è ombra di dubbio che la competizione Nord-Sud, la competizione nel Mediterraneo, può vedere un Meridione protagonista soltanto se lo Stato è presente. Per quel che riguarda la realizzazione delle infrastrutture e per quel che riguarda la garanzia della legalità. Io vorrei che il Pdl che costruiamo insieme sia presente in occasione di quelle grandi manifestazioni che di tanto in tanto si svolgono nel Meridione come è accaduto ieri a Napoli nel nome della legalità e nel nome della lotta alle mafie. Perché non è prerogativa di una parte, perché è stolto pensare che possa essere soltanto una parte a innalzare quelle bandiere, perché il nostro Meridione e la coesione sociale dell´Italia sarà garantita soltanto se lo Stato nel Sud ci sarà con assoluta certezza per quanto riguarda quel gap infrastrutturale che deve essere rimosso. E con assoluta fermezza per quel che riguarda la legalità. E ancora pensare un progetto per l´Italia del futuro nella sua forma istituzionale, nella sua collocazione nel Mediterraneo, in quella coesione nazionale che deve ridare al Meridione un protagonismo positivo, pensata nei suoi assetti economici perché la crisi c´è, perché nessuno sa che cosa c´è dinanzi a noi. Perché fermo restando il confronto doveroso tra maggioranza e opposizione io credo che il Pdl debba porsi il problema di come tradurre il nuovo patto che non è soltanto il patto nord sud è il patto tra categorie, è il patto tra generazioni. Perché l´Italia o si salva tutta intera dalla crisi o rischia di non salvarsi. E io credo che si debba riprendere quella ipotesi che ho lanciato in altre occasioni, in un´altra veste, allora parlando come presidente della Camera. Il governo fa bene a fare le sue scelte e l´opposizione ovviamente le contesta e in qualche modo contrappone altre ipotesi, altre idee, ma se siamo davvero coscienti della portata della crisi, non escludiamo di dar vita a quegli stati generali dell´economia, a quel confronto tra parti sociali, imprenditori, territorio dal quale forse può uscire una visione condivisa e per certi aspetti una soluzione positiva di una crisi che non riguarda questo o quell´aspetto della società ma che è di tutta la nostra società. E allora si tratta di un grande compito, immaginare l´Italia tra quindici anni e cominciare a costruirla. Un grande compito per un grande movimento politico, un grande movimento politico di popolo che certamente c´è, la percentuale di consenso è altissima, ma anche un movimento politico di idee, di proposte, di sintesi. E questa è la sfida. Non portare la nostra identità, non portare la nostra bandiera, ma portare la nostra capacità di leggere la società italiana e di individuare ciò che è necessario per dare una risposta ai problemi. Sarebbe una dimostrazione di enorme miopia pensare al Popolo della libertà soltanto con l´ottica della fusione di organigrammi. Anche a costo di apparire presuntuoso, di farmi sfottere dai giornalisti domani, lasciatemi citare De Gaulle: «La politique d´abord, l´intendence suivra». Come saranno organizzate le federazioni o come sarà organizzato il nuovo partito è certamente importante, ma non può essere l´oggetto dell´attenzione, della preoccupazione, e men che meno la ragione per la quale si va convintamente nel Pdl. Perché la questione è innanzitutto quale progetto per l´Italia di domani, quali idee, quali politiche, quali sintesi, quali provocazioni se si vuole. Ci dobbiamo mettere tutti in discussione, a partire da me. Sono cosciente, accetto la sfida. Tutti in discussione. Per qualcuno verranno meno le rendite di posizione, per qualche altro si apriranno delle opportunità forse inaspettate, positive, ma la sfida va affrontata. Siamo coscienti. Non dobbiamo aver paura nemmeno che questa alleanza, questo incontro, questo fatto storico possa in qualche modo annacquare l´identità, farcela perdere. C´è stato una sorta di mantra autoconsolatorio, che ho sentito tante volte. È giusto che sia così, ma attenzione - amici miei - alcune perplessità c´erano anche a Fiuggi. Qualcuno se ne andò addirittura, perché pensava fosse impossibile mantenere una identità dando vita ad Alleanza nazionale. Poi qualcuno nel nome dell´identità ha cercato altre strade che si sono rivelate dei viottoli chiusi. Ma chiusi non dalle nomenclature, chiusi dagli elettori. Gli elettori hanno scelto il 18 di aprile, non c´era il nostro simbolo sulla scheda, c´era il Pdl e poi c´era chi orgogliosamente diceva "io sono la destra". E il risultato è noto. L´identità non è come la coperta di Linus, autoconsolatoria. L´identità non si garantisce con gli slogan roboanti, con la declamazione, con la retorica più o meno muscolare della propaganda. L´identità, quando è basata su dei valori, deve essere capacità di dare delle risposte, indicare delle strade, di orientare un cammino, ed è la ragione per la quale non ci dobbiamo preoccupare nel Pdl della nostra identità. Ci dobbiamo preoccupare dell´identità degli italiani tra dieci, quindici anni perché se la stella polare è quella di cui abbiamo parlato all´inizio, l´amore per la nostra terra, l´amore per la nostra patria, la sfida è quella: come sarà l´Italia tra dieci anni, quale sarà l´identità che avrà il nostro Paese. E dobbiamo cominciare a costruirla questa identità, coniugando modernità e tradizione che è da sempre, in qualche modo, il binario obbligato della destra italiana. E, badate, le sfide ci sono. Sono enormi. Io vorrei che il Pdl non si confrontasse tra ex An e Forza Italia e gli ex degli altri partiti, io vorrei che il Pdl cominciasse a tentare di fornire risposte ad alcuni problemi che bussano già alla porta, che in alcuni casi sono già entrati. Non è forse vero che la nostra società tra dieci, quindici anni sarà molto diversa da quella che è oggi? E che sarà per la prima volta nella storia del popolo italiano una società multietnica, una società multireligiosa? Quando ci si confronta con la questione della immigrazione, non lo si può fare soltanto con la logica - pur giusta - di chi vuole più ordine più sicurezza e, quindi, necessariamente vuole che ci sia l´espulsione del clandestino.
Non è questa la questione. La vera grande questione è che siamo in un Paese che demograficamente è sempre più vecchio e in cui inevitabilmente saranno sempre di più coloro che nel prossimo futuro saranno italiani senza essere figli di italiani, con altre storie alle spalle, con altre identità, con altre culture. È una grande sfida che l´Italia non ha mai vissuto rispetto agli altri Paesi. È una sfida in cui diventa essenziale avere le idee chiare, distinguere l´assimilazione dalla integrazione. Avere ben chiaro il significato importante della lingua, avere ben chiaro che una società multietnica tende necessariamente a essere una società di tipo multireligioso, il che non vuol dire ovviamente dar vita a una sorta di agnosticismo. Da questo punto di vista l´identità del popolo italiano in termini religiosi è chiaramente orientata a quello che è l´insegnamento cristiano e cattolico. Ma ci sarà sempre di più il confronto con altre religioni in Italia. Una società multirazziale, una società che pone dei problemi in termini educativi, in termini di garanzie, di diritti, perché se vogliamo essere coerenti con quel che diciamo, se il primato è sempre e solo della persona umana, risulta poi evidente che non puoi discriminare - se il primato è della persona umana - se si tratta di un immigrato, fosse anche clandestino. È una grande sfida, è una sfida che non si affronta con la retorica, non si affronta con lo slogan, non si affronta mostrando i muscoli, si affronta se c´è con la capacità di pensare, di dare una risposta in termini culturali. Guardate ciò che accade fuori dai nostri confini. Anche perché come se non bastasse una società sempre più multietnica, nel cuore del Mediterraneo, pone a noi italiani il problema del tutto nuovo del rapporto con l´Islam. E pone il problema del rapporto con l´Islam in un momento in cui il crinale tra scontro tra civiltà e il dialogo tra le civiltà è ancora incerto con tutto ciò che ne consegue. Da questo punto di vista, credo che sia evidente che l´integralismo, ogni forma di integralismo, è un additivo formidabile per chi lavora nella prospettiva di uno scontro tra civiltà. E non credo che il Pdl, il partito del 40 per cento, che vuole immaginare il futuro del nostro Paese tra dieci anni, possa schierarsi inconsapevolmente o meno in una logica di scontro. Dobbiamo necessariamente favorire un colloquio, favorire un´intesa nel rispetto - è ovvio - delle identità, ma in una politica che è basata sul ripudio di ogni ipotesi di superiorità o di fondamentalismo. È una sfida culturale - amici miei - e la sinistra italiana in queste questioni non è stata ancora in grado di fornire delle risposte convincenti. Adesso tocca a noi. Il consenso va e viene anche in ragione della capacità che si ha di intercettare non soltanto le paure, ma di intercettare e rispondere positivamente alle speranze degli italiani. E ancora, che cosa vuol dire pensare l´Italia tra dieci, quindici anni? Significa pensare a che cosa può determinare la diffusione sempre più ampia nella società di quello che, giustamente, è chiamato il relativismo morale, l´assenza di principi, la confusione che sempre di più si fa tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. E credo che la risposta in termini culturali, in termini educativi, partendo dai più giovani, debba essere da parte nostra nella divulgazione dei quella che mi piace chiamare un´etica, un´etica repubblicana dei doveri, per la quale sia del tutto evidente in un ideale pantheon, visto che tanto se ne è parlato, non della destra, ma un pantheon della società italiana nel prossimo decennio ci devono essere quelle figure che proprio nel nome del dovere e delle istituzioni hanno sacrificato la loro vita. Non si combatte il relativismo, il"chi me lo fa fare", il non distinguere più ciò che è giusto da ciò che non lo è, se non affermando l´etica del dovere e il premio che necessariamente una società deve saper riconoscere a chi per quel dovere si sacrifica. E ringrazio chi, credo sia stato Fabio Granata, ha voluto ricordare - quando di parla di identità - un orgoglioso militante del Fuan di tanti anni fa: il giudice Borsellino. Lo ricordiamo non perché è stato militante del Fuan. E ancora, senza annoiarvi, pensare all´Italia di domani significa cominciare a porsi quesiti di questa natura. C´è in atto un´evidente crisi del liberal-capitalismo. È pensabile la crisi delle liberal-democrazie? Perché chi conosce la storia sa che i due assetti sono nati e si sono sviluppati insieme. E qual è la risposta che deve venire dall´Italia? Un´Italia che non può essere soltanto una periferia, ma dovrebbe tornare a essere la fucina da cui nascono le idee, il luogo che alimenta un dibattito che non sia soltanto all´interno dei confini nazionali. E ancora, c´è il rischio di una atomizzazione sociale. Non è in discussione soltanto la coesione Nord-Sud, sono sempre meno stretti i rapporti che legano gli italiani tra di loro, persino i padri con i figli. L´essenziale è che a un egoismo diffuso si contrapponga una pratica di solidarietà altrettanto diffusa. E ancora una volta non è un quesito culturale, è una sfida politica. E come farlo, come tradurlo in un´iniziativa di legge, perché il Pdl è il pilastro del governo italiano e prevedibilmente lo sarà per tutta la legislatura e forse anche per la prossima. Non possiamo gestire il consenso con una politica contro l´attuale opposizione. Cerchiamo di gestire il consenso immaginando l´Italia di domani e dimostrando semmai che l´attuale opposizione non le sa dare le risposte perché magari non la immagina l´Italia di domani. Ecco, non sono sfide facili. Sono certamente sfide ardue, sono sfide che non si possono affrontare con la logica autoreferenziale del partito che ha il perimetro delimitato del proprio consenso. Se il compito fosse stato quello tanto valeva allora tenersi An, sperare che dal 12 diventassimo il 13, il 14. Non si risponde alla sfida che il futuro già porta in ogni casa nostra e dentro ogni casa europea con la logica di chi ancora intimamente è con la testa nel secolo scorso. Ed è una ragione per la quale dobbiamo superarle le colonne d´Ercole, dobbiamo pensare in grande, volare alto. Dobbiamo cercare di fornire le risposte di cui la società italiana ha bisogno. Si può raccogliere il consenso alimentando la paura, si deve raccogliere il consenso offrendo la speranza e la certezza con un´azione coerente, di riuscire a costruirlo quel domani. Credo che questo sia il grande compito del Pdl, un grande movimento di popolo, che deve essere al tempo stesso un grande movimento di idee. Sarà la sfida più difficile: dimostrare che davvero è cambiato molto non dal 1946, ma dal 1994. Nel `94 noi, i figli degli esuli in patria furono chiamati a fare i conti con il loro passato. Oggi, da protagonisti in patria, noi di An siamo chiamati a cominciare i conti con gli italiani di domani. È una prospettiva del tutto diversa, è una grande storica missione che va vissuta con entusiasmo, nel Pdl entrino coloro che ci credono.Entrino coloro che hanno per davvero amore per l´Italia. Entrino coloro che credono nella bontà delle loro e delle nostre idee, perché lasciatemi concludere con uno slogan della nostra giovinezza, con la semplicità e al tempo stesso l´efficacia degli slogan: se si ha paura vuol dire che o non valgono nulla le idee in cui si crede o non vale nulla chi ha paura. Non dobbiamo aver paura del futuro, dobbiamo avere coscienza della possibilità di costruirlo fin da oggi. Dobbiamo gettare il cuore oltre l´ostacolo e impegnarci con la stessa tenacia con cui l´abbiamo fatto per tanti anni. Oggi finisce Alleanza nazionale, nasce il Popolo della libertà, continua il nostro amore per l´Italia.

LO SCIOGLIMENTO DI ALLEANZA NAZIONALE


Il Big Bang che ridisegna la destra di Luca Telese
(Il Giornale)
E alla fine, se non è una beffa poco ci manca, perché Gianfranco Fini celebra il congresso dell’abbandono definitivo alla «casa del padre» con un omaggio al padre, celebra l’addio ad An e alla tradizione post missina con un discorso che Giorgio Almirante avrebbe definito, da appassionato di Dante, «ghibellino». La prima cosa che ti colpisce, nel congresso della Fiera di Roma, è che An non entra dentro il Popolo della libertà con la forza di una centuria inquadrata a testuggine, ma piuttosto con un nuovo Big Bang che scompone il partito secondo nuove coordinate, e in nome di un asse in cui si misura minore o maggiore laicità. La scelta, ancora una volta, l’ha fatta Fini che, nel discorso di ieri, ha dato due grossi messaggi. Il primo una sorta di tana libera tutti, adesso ognun per sé, nessuna appartenenza garantita, nessuna politica «di potere o di sotto potere»; il secondo: nessun retaggio cameratesco, «non siamo più i migliori».E dunque, ieri, nella stessa mattinata, ascoltando Fini e i suoi colonnelli, sembrava di udire lingue diverse. Molto «guelfo» Maurizio Gasparri, con il suo binomio inscindibile «legge & ordine» agitato davanti alla sala con passione e convinzione; neo guelfo Gianni Alemanno, con le sue sottolineature «identitarie» e la sua vicinanza dichiarata ai valori della Chiesa; pienamente ghibellino, appunto, Fini, che disegna, in quello che dal punto di vista qualitativo sembra uno dei suoi discorsi più belli, un ritratto esistenziale del tutto anomalo, rispetto ai profili tradizionali della destra. E poi, a complicare le cose con una nota di colore, tutte le citazioni, le identità si impastano, in alcuni casi si scambiano. Il primo cittadino di Roma ha una moglie - Isabella Rauti - molto ghibellina («Sono qui come delegata prima che come moglie, al mio primo e ultimo congresso, ho votato»), mentre Fini ha una compagna, Elisabetta Tulliani, bionda, incantevole, che fugge inseguita dai giornalisti senza rilasciare commenti: davanti c’è la segretaria di Fini a mo’ di badante, dietro c’è un uomo della scorta, lei tiene la bocca sigillata, e solo tramite agenzia farà avere un commento pro forma: «Gianfranco è stato bravissimo». L’uomo della scorta, alquanto arcigno, sibilava ai cronisti: «Non si possono farle domande».Ma, a parte questo, il corto circuito inizia quando la scomposizione culturale in nuove appartenenze rispetto al principio della laicità, inizia a squadernarsi. Gasparri, per esempio, agita la biografia di Giuseppe Prezzolini, scritta dall’estensore delle tesi Gennaro Sangiuliano, e lo fa estrapolando una bella citazione che gli serve per motivare il suo anti progressismo: «I progressisti sono gli uomini di domani, i conservatori quelli di dopodomani». Fini, invece, si esalta dichiarando la sua identità «repubblicana», il suo rifiuto del culto del capo, il profilo modernista che prospetta la nuova destra, «dobbiamo essere quelli della speranza, e non quelli della paura», «dobbiamo costruire un’etica repubblicana dei doveri», «dobbiamo costruire un’identità multiculturale e multireligiosa». Alla sua «sinistra», si ritrova un amico come Roberto Menia, il triestino che ha fatto venire giù la sala esaltando l’identità missina, in antitesi all’unanimismo del partito unico. Menia sognava la «federazione», e accetta la fusione come un male minore. Ma altri finiani, come Giorgia Meloni, che pure esaltano l’identità, poi sui temi dell’etica si differenziano dal loro leader. Fini mette sopra ogni cosa la difesa della libertà «che deve essere garantita dallo Stato», la Meloni la difesa della vita, incarnata «da quella ragazza con la pancia un po’ grande che non entra più nel banco di scuola, ma che sceglie di partorire lo stesso». Ignazio La Russa, poi, per storia personale, è stato un «ghibellino almirantiano» ma per pratica politica, è uno dei padri del partito unico; il già citato Sangiuliano, che ha scritto le tesi, si dice «un ghibellino convinto», così come l’altro intellettuale di peso di An, Alessandro Campi. Al contrario, Alemanno immagina un altro partito, che sia meglio del Movimento sociale, che fondi una nuova identità riformista e identitaria. Alemanno vorrebbe sposare i valori della Chiesa e la critica al capitalismo reale. Anche Fini, per paradosso, raccoglie la bandiera della critica al mercatismo, ma si differenzia da tutti gli altri per la sua posizione sul tema dell’immigrazione: prefigura un’Italia in cui «saranno molti gli italiani che non sono figli di italiani» e in cui bisogna costruire «un nuovo rapporto con l’islam» sfidando su questo terreno «la sinistra, che non ha un’idea nuova di società».

Ovviamente, la politica delle grandi idee è anche la sovrastruttura della politica delle cose umane. Il retroscena che i dirigenti di An conoscono, è una riunione di qualche giorno fa, in cui il presidente della Camera aveva pensato a un ingresso più organico degli ex aennini nel nuovo partito. Poi ha scoperto, con non poco fastidio, che molti dei colonnelli già stavano trattando in proprio posizioni, in alcuni casi anche organigrammi, con Silvio Berlusconi. Forse è stato proprio questo a spingerlo all’ultimo strappo, al tana libera tutti, a quell’ambizioso rompete le righe: il nuovo Pdl, dopo il suo discorso alla Fiera di Roma, nasce con un monarca e con un leader repubblicano che lo sfida, alla distanza.C’era una frasetta, ieri, anche nell’elogio che Fini ha fatto di Berlusconi, che era rivelatrice. Spiegava che Berlusconi aveva vinto per la sua capacità di rispondere ai bisogni, «ma anche alle paure». Poi, nella seconda parte del suo discorso, spiegava che la nuova destra che immagina deve rispondere non alle paure, ma alle speranze. Quelle che lui, da ieri, si candida a incarnare, cercando nel nuovo partito, trasversalmente, alleati laici disposti a competere l’egemonia con il Pontefice massimo di Arcore.


La nuova partita aperta dal leader di Massimo Franco (Corriere )
Non c'è soltanto assenza di nostalgia per la fine di An: le parole di Gianfranco Fini ieri trasudavano l'impazienza di voltare pagina, di lasciarsi alle spalle una vita e di cominciarne un'altra. Il capo della destra si è proposto non come concorrente di Silvio Berlusconi alla guida del Pdl, ma come leader di un futuro «partito della Nazione»: più trasversale del Cavaliere; laico; tollerante con gli immigrati; e attento al ruolo del Parlamento per bilanciare il presidenzialismo.
La sensazione è che nell'ottica del presidente della Camera il passato sia archiviato da tempo; ed il presente vada filtrato con un binocolo che guarda l'Italia di qui a dieci anni. È un'ottica che relativizza l'esistente: il Pdl, l'era berlusconiana, le vecchie identità. Il passo d'addio è una miscela di orgoglio e solitudine. Se pure Fini non ha detto esplicitamente ai suoi: «Da oggi, ognuno per sé», il suo lascito ad An è proprio in questi termini. Il ponte simbolico scelto per l'ultimo congresso non traghetta nel continente del Cavaliere un partito, ma una folla di singoli che dovranno guadagnarsi il proprio spazio vitale. Si tratta di una condizione politica scomoda, per una forza abituata a percepirsi in termini di diversità; e tuttavia è l'unica che Fini ritenga possibile e, forse, in grado di favorire le sue ambizioni.
In fondo, da quando guida l'assemblea di Montecitorio, lui stesso è diventato un solitario per antonomasia: in primo luogo nella propria maggioranza. Dandosi un profilo istituzionale autonomo, per il quale è stato accusato di ingratitudine, negli ultimi dodici mesi ha costruito una legittimazione ed una rete di alleanze esterne al centrodestra; più orientate verso il Quirinale che verso Palazzo Chigi; e più attente alle prerogative del Parlamento che alle esigenze del governo. Adesso che entra nel Pdl le rivendica e quasi le accentua. Si presenta non come un alleato che deve gratitudine a Berlusconi, ma come un aspirante leader pronto ad accettarne la guida; temporaneamente, però, e ad alcune condizioni. Il suo rifiuto orgoglioso del termine «sdoganamento» è un no alla lettura di An come un movimento postfascista che il Cavaliere ha tolto dal ghetto della storia. E le critiche al culto della personalità e al pensiero unico sono avvertimenti indirizzati, di nuovo, all'azionista di maggioranza del Pdl. Insomma, Fini ha l'aria di chi entra nel nuovo partito protetto dall'armatura del ruolo parlamentare; ed è deciso a non farsi accecare e bruciare dalla stella del berlusconismo.
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Ma è difficile capire se la scelta prelude alla sua emancipazione ed ascesa politica; o se il presidente della Camera fa solo di necessità virtù: nel senso che ha assecondato la fusione fra An e FI perché non aveva alternativa. La sensazione è che la destra non sia più «sua» da tempo; e lui non sia più la destra: o almeno, non la controlla e non la rispecchia come prima. Si è visto in occasione del contrasto fra Palazzo Chigi e Quirinale sulla bioetica, poche settimane fa. Con il presidente della Camera che dava ragione al capo dello Stato, Giorgio Napolitano; e Berlusconi che invece lo criticava e faceva appello al proprio governo, ottenendo un'unanimità garantita anche dai ministri di An. Il suo distacco dal partito d'origine, insomma, è stato se non preceduto, accompagnato da quello di An da lui. Dire di no all'idea di guidare la «corrente di destra» del Pdl significa prendere atto della realtà, più che determinarla. Da oggi la figura di Berlusconi, esorcizzata nei due giorni del congresso, si materializzerà con il suo sorridente, inesorabile abbraccio. E renderà evidente che An aveva attraversato e bruciato il ponte alle proprie spalle ben prima di ieri. Non avere paura, come invita a fare Fini, significa trarne tutte le conseguenze senza guardare indietro

domenica 22 marzo 2009

OGGI SI E' SCIOLTA ALLEANZA NAZIONALE. FINI EMOZIONATO


- Un paio di gemelli tricolore e un vestito grigio: è quello che ha deciso di indossare oggi nel giorno dell'addio ad An, Gianfranco Fini per parlare davanti alla platea del Congresso. Al suo fianco la bionda compagna, Elisabetta Tulliani che, coda di cavallo e tailleur blu, gli ha sorriso dalla platea e poi l'ha promosso: «Gianfranco è stato bravissimo, nonostante la grande emozione del momento». Una grande emozione che, per ammissione dello stesso Fini, si è sciolta solo mentre scendeva le scalette del palco, dopo l'abbraccio di tutti i colonnelli, al quale si è molto brevemente concesso. È stato lì che una lacrima, una sola, è scesa prima che il leader di un partito che non c'è più scompariva dietro un tendone di velluto chiaro. «Sono veramente svuotato, mi sento come dopo una difficile immersione subacquea», ha descritto il suo stato d'animo. «Non è stato facile - ha ammesso - È stato un discorso difficile, ma l'ho fatto con convinzione. Sono stati giorni di tensione ed emozione. Ora, dopo un'ora e dieci di discorso a braccio, vado a riposarmi. È stato un bellissimo congresso». Fini ha ripiegato i foglietti che aveva in mano mentre parlava, solo una scaletta delle cose da dire, e ha ringraziato chi andava a congratularsi. Oltre agli apprezzamenti del Cavaliere anche i 1.800 delegati hanno sottolineato le cose dette dal leader con 28 applausi. Quelli più forti non hanno certo punteggiato le larghe vedute del Fini multietnico e multiculturale. Ovazioni invece per l'orgoglioso rivendicare la giusta strada intrapresa a Fiuggi, l'assenza di “sdoganamenti”, i nomi cari alla comunità della destra, da Pinuccio Tatarella a Mirko e Marzio Tremaglia, l'ingresso in un Pdl senza monarchi. Fini non ha smentito l'etichetta di uomo controllato che lo accompagna. «Può essere che domani mi emozionerò», aveva anticipato ieri. E infatti oggi, puntualmente, ha pianto.


FONTE IL MESSAGGERO

mercoledì 25 febbraio 2009

Maurizio CASTRO (PDL) : DDL Brunetta provvedimento importante


"Un provvedimento importante che avrà anche un impatto formidabile sull'economia italiana poiché secondo stime internazionali consolidate ogni dieci punti di produttività recuperati dal lavoro pubblico, mobilitano e generano due punti di Pil. È ragionevole stimare l'effetto di tale riforma a regime in almeno 20 punti di efficienza del lavoro pubblico in più. Quindi risulta più che evidente come essa sia un poderoso propellente di sviluppo per l'intero nostro sistema economico. Recuperare imponenti risorse dal settore pubblico e dirottarle a sostegno della competitività delle imprese è un'operazione cruciale per accompagnare il Paese oltre il deserto della recessione”. Lo afferma Maurizio Castro del Popolo della Libertà, commentando l'approvazione del ddl Brunetta che riforma la pubblica amministrazione.
“Con questa riforma -prosegue - finirà l'era della burocrazia opaca, inefficiente, arrogante, chiusa in se stessa. In dosi massicce verrà introdotta nella macchina della Pubblica Amministrazione la cultura della responsabilità, della trasparenza e del merito, in coerenza con i principi del federalismo fiscale. Al centro dell'azione amministrativa non vi sarà più il 'procedimento', formale e autoreferenziale; bensì il 'provvedimento', concreto e misurabile. Si passerà da un modello consociativo a un modello partecipativo di relazioni sindacali nel pubblico impiego: dove quel che conterà sono i risultati conseguiti, sia dal singolo funzionario, sia dall'ufficio in cui opera e dove solo in base ai risultati si farà carriera e si guadagneranno riconoscimenti salariali. Nessun dirigente potrà occultare la cattiva prestazione della squadra affidatagli dietro il paravento di cavilli e codicilli perché questa legge - conclude Castro - gli affida in modo netto e chiaro tutti i poteri per organizzare al meglio le sue strutture, e la valutazione delle performance è affidata a criteri certi, definiti in base alle migliori esperienze internazionali”.
Fonte Ilvelino.it

martedì 17 febbraio 2009

ELEZIONI SARDEGNA:SORU SCHIACCIATO DA CAPPELLACCI

Crolla la coalizione di centrosinistra inchiodata al 38,67% contro il 56,66 del centrodestra.
Il Pdl diventa il primo partito nell'isola superando il 30%, il Pd al contrario affonda e non arriva al 25% (un anno fa alle Politiche si attestò al 33% e nelle Regionali del 2004 la somma dei tre partiti confluiti nel Pd, Ds-Dl-Progetto Sardegna, portò una dote attorno al 32%).
Il centrodestra strappa la Sardegna allo schieramento avversario e Ugo Cappellacci diventa il nuovo governatore.

lunedì 16 febbraio 2009

Elezioni Sardegna: Cappellacci in vantaggio su Soru


Sono state scrutinate 250 sezioni su 1812 e al momento il candidato del Popolo della Libertà è in vantaggio con il 49,6 % sul governatore uscente Renato Soru con il 45,7%

martedì 10 febbraio 2009

Foibe, l’intervento del Presidente della Camera Gianfranco Fini nel Giorno del Ricordo


“Oggi è il Giorno del Ricordo; saluto con affetto e calore i rappresentanti delle associazioni di esuli istriani, fiumani, giuliani e dalmati che hanno voluto essere presenti a questo evento. Li saluto unitamente all’attore Luca Violini e allo scrittore Paolo Logli, autore del testo teatrale che verrà tra breve rappresentato. Dopo l’approvazione nel 2004 della legge che ha istituito questa ricorrenza ‘al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani’, questa è la prima volta che si tiene alla Camera dei deputati una manifestazione dedicata alla rievocazione delle dolorose vicende delle foibe e dell’esodo. Il mio primo auspicio, a distanza di cinque anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, è che il significato di questa giornata si consolidi nella percezione comune degli italiani, specie dei giovani”. Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo alla Camera nella giorno del ricordo delle vittime delle Foibe. “Non a caso, la legge intende favorire la promozione di iniziative, da parte di istituzioni ed enti, per conservare la memoria di quei tragici eventi approfondendone il significato all’interno dell’identità nazionale”.
“Quel voto parlamentare a larghissima maggioranza fu l’approdo di una lunga e sofferta conquista di consapevolezza civile. La consapevolezza che un paese democratico non deve avere mai paura di illuminare tutti gli angoli della propria storia. Per troppo tempo l’orribile capitolo delle foibe è stato taciuto agli italiani. A farne le spese è stata la completezza del racconto storico della guerra e dell’immediato dopoguerra. A farne le spese direttamente sulla loro pelle sono stati gli esuli. È una dolorosa circostanza che non possiamo dimenticare, se vogliamo celebrare questa giornata nella pienezza e completezza dei suoi significati. Non possiamo dimenticare che questi fratelli ha vissuto un duplice dramma: quello di essere stata costretta ad abbandonare la propria casa e quello, avvenuto subito dopo, di essere stata accolta con indifferenza e, in molti casi, con ostilità da quella stessa Italia dalla quale aveva sperato di ricevere un abbraccio solidale. Molti esuli vissero a lungo - anche fino a dieci anni - negli oltre cento campi di raccolta disseminati nella Penisola. E vissero in condizioni di vita difficilissime, in totale emergenza e assoluta provvisorietà”.
Quegli oltre trecentomila italiani vennero trattati in molti casi come testimoni scomodi. Per alcuni erano i testimoni della tirannia totalitaria del regime nazionalcomunista di Tito. Per altri ricordavano l’immane tragedia della sconfitta militare voluta dal fascismo. In diverse occasioni si assistette al manifestarsi di sentimenti di gretto egoismo, che le pur difficili condizioni del dopoguerra non potevano in alcun modo giustificare. Così ad esempio troviamo scritto nei ricordi di un esule: ‘Non si usciva nemmeno dal campo profughi di Marina di Carrara perché ci disprezzavano, dicevano che eravamo andati lì a mangiare il loro pane’. Non è mia intenzione entrare in questa circostanza nelle complesse questioni storiche legate al dopoguerra, soprattutto sotto il profilo delle difficili condizioni in cui l’Italia, che aveva da poco riconquistato la libertà, si trovò a muovere i suoi primi passi nel consesso internazionale e nel quadro dell’allora incipiente Guerra Fredda. Voglio però ribadire il concetto, largamente prevalente nella coscienza civile del nostro tempo, che non esistono esigenze politiche tali da giustificare l’occultamento della verità storica e la prolungata emarginazione di centinaia di migliaia di persone colpevoli soltanto di avere una ben precisa identità”.
“Il Giorno del Ricordo - ha aggiunto Fini - presenta quindi il significato di una memoria ritrovata e condivisa. Ritrovare un capitolo del passato comune. Condividere lo sforzo di analizzarlo e interpretarlo. ‘Memoria condivisa’, ha scritto lo storico Gianni Oliva, ‘significa esplorare le contraddizioni, le responsabilità, i perché di quanto è accaduto, significa rintracciare il passato senza l’alibi dei silenzi e l’ipocrisia delle rimozioni’. Rievocare l’orribile capitolo delle foibe è un dovere che si impone non solo alla nostra coscienza di italiani, ma anche al nostro sentimento di europei, come ha detto il capo dello Stato molto bene questa mattina. Perché gli eccidi del 1943 e del dopoguerra, compiuti contro migliaia di inermi e di innocenti al confine orientale dell’Italia, furono un crimine contro l’umanità. Ritengo che la ricostruzione di quelle pagine di morte e di orrore possa essere un servizio reso alla più ampia e matura consapevolezza di promuovere e difendere quei valori di rispetto e di fratellanza tra i popoli che sono alla base dell’Europa odierna. Il riconoscimento della verità storica e l’analisi rigorosa di quella terribile esperienza ci permettono di individuare i meccanismi perversi che conducono alla cancellazione dei diritti dell’uomo e alla pulizia etnica”.
“Nella tragedia delle foibe troviamo sia i meccanismi dell’ideologismo comunista sia quelli del nazionalismo aggressivo panslavista. Spetta agli storici stabilire quale fu, se ci fu, l’elemento prevalente. Sia nei casi in cui si trattò di odio di classe, sia in quelli in cui fu odio etnico, sia quando fu entrambe le cose, in tutti i casi, si rivelarono sentimenti criminali. Sentimenti coperti e legittimati da idee atroci e da aberrazioni culturali. Il secolo delle idee assassine, per dirla con Robert Conquest, è fortunatamente alle nostre spalle. Ma affinché sia solo un brutto passato è necessario adempiere al dovere del ricordo. Il ricordo chiaro, il ricordo sereno, il ricordo completo, il ricordo privo di zone d’ombra, reticenze e manipolazioni. Anche per questo appare in tutta la sua ingiustizia la lunga rimozione di quella tragedia. Anche per questo dobbiamo impegnarci a salvare la memoria delle sofferenze di tanti nostri connazionali, nello spirito della riconciliazione che può avvenire solo sulla base della verità. Vorrei dedicare un pensiero conclusivo al sentimento dell’esilio, che tanti nostri connazionali portano ancora nel cuore. Nella poesia di una donna, Anna Vukusa, troviamo queste parole forti e commoventi: ‘Il mio cuore di esule è una bianca conchiglia per ascoltare il mare che più non mi appartiene’”.
“Non c’è consolazione possibile per riempire il vuoto che si spalanca nell’anima quando si è costretti ad abbandonare la propria casa e la propria terra. Come ha scritto Enzo Bettiza, anche quando l’esule riesce a rifarsi una vita, una famiglia, una prole, egli non sfugge, non può mai sfuggire completamente al ‘marchio del trauma iniziale’. Non possiamo curare questa invincibile malinconia. Possiamo però sforzarci di farla pienamente nostra come comunità nazionale. Anche questa è memoria condivisa. È il condividere un ricordo struggente. E il saperlo trasformare in memoria comune. In ossequio al sentimento dell’identità italiana. Ma soprattutto in nome di un valore universale di fratellanza”.

lunedì 9 febbraio 2009

"IN RICORDO DI PINUCCIO TATARELLA "


L'otto febbraio 1999 è scomparso Pinuccio Tatarella.

'Tatarella era un uomo del bipolarismo compiuto. Va sicuramente annoverato tra i più convinti assertori dell'idea che, in una moderna democrazia bipolare, cio' che unisce sia altrettanto importante di ciò che divide'. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ricorda Pinuccio Tatarella a dieci anni dalla sua scomparsa in un intervento realizzato per il prossimo numero della rivista 'Con' e ripreso dal Tempo in edicola oggi.Per Ignazio La Russa, in un articolo su Libero, "Pinuccio Tatarella dalla vita ebbe un talento particolare: la lungimiranza politica. Non una dote divinatoria, sia chiaro. L'uomo sapeva interpretare le dinamiche politiche meglio di altri. Leggeva le curve della politica Sapeva capire in anticipo dove sarebbero andate a finire. Ecco perché, a dieci anni dalla sua scomparsa, il pensiero tatarelliano, la sua enorme produzione pubblicistica e politica, rimangono di stretta attualità. Sorprendente, forse, per chi non ha avuto l'opportunità di conoscerlo bene. Non per noi dirigenti della destra che, al suo fianco, eravamo cresciuti. Politicamente e umanamente". "Il suo progetto della grande casa comune dei moderati del centro destra prende corpo con la nascita del Pdl". Sottolinea invece Maurizio Gasparri."Ricordiamo con gioia e con il sorriso il nostro amico, l'intelligenza più preziosa della destra italiana del nostro tempo, che accanto a Gianfranco Fini ha svolto un ruolo decisivo per la crescita e la trasformazione della democrazia italiana", ha aggiunto. "C'è chi vive a lungo senza lasciare traccia, c'è chi in un tempo troppo breve segna il cammino di tanti. Tatarella è tra questi", ha poi sottolineato, "è per questa ragione che sul dolore per la sua assenza prevale la gioia per la vittoria del suo grande disegno". (Fonte http://www.alleanzanazionale.it/)

martedì 20 gennaio 2009

Presidente Chiodi buon lavoro!!


E' stata formalizzata ieri la compagine della nuova Giunta regionale della Regione Abruzzo , Progetto L'Aquila augura buon lavoro al Governatore Gianni Chiodi e a tutta la sua giunta.

Un saluto particolare ad Alfredo Castiglione- Vicepresidente della Giunta Regionale-, Giandonato Morra e Mauro Febbo.

Ecco le deleghe:

GIOVANNI CHIODI, Presidente:
Politiche regionali di cooperazione interistituzionale; affari della Giunta regionale; Attività internazionali; Legislativo; Coordinamento e supporto, Affari generali e Bura; Attività di collegamento con Ue a Bruxelles; Delegazione di Roma; Programmazione e sviluppo, statistica; Politiche nazionali per lo sviluppo; Pianificazione territoriale, programmi complessi nazionali e regionali delle Aree urbane; Politica energetica, qualità dell'area e Sina; Tutela, valorizzazione del paesaggio e valutazione ambientale; Conservazione della matura e Ape; Assistenza legale,consulenza e attività amministrative per l'ambiente e il territorio; Sussidiarietà; Stampa; Avvocatura regionale.

ALFREDO CASTIGLIONE: Sviluppo economico e vicepresidente.
CARLO MASCI: Bilancio; Riforme istituzionali; Enti Locali; Attività sportive.
ANGELO DI PAOLO: Lavori pubblici, servizio idrico integrato; Gestione integrata dei bacini idrografici; Difesa del suolo.
DANIELA STATI: Protezione civile; Ambiente.
FEDERICA CARPINETA: Risorse umane e strumentali.
GIANDONATO MORRA: Trasporti e mobilità; Viabilità; Demanio e catasto stradale; Sicurezza stradale.
MAURO DI DALMAZIO: Sviluppo del turismo; Politiche culturali.
LANFRANCO VENTURONI: Politiche della salute.
MAURO FEBBO: Politiche agricole e di sviluppo rurale, forestale, caccia e pesca.
PAOLO GATTI: Politiche attive del lavoro; Formazione e istruzione; Politiche sociali.

lunedì 12 gennaio 2009

LA FIACCOLA TRICOLORE di Fabrizio Tatarella


La Fiaccola Tricolore: antologia della giovane destra italiana dal dopoguerra ad oggi» è il nuovo libro del direttore del bisettimanale Puglia d'Oggi e della rivista Millennio Fabrizio Tatarella.
Il prof. Alessandro Campi, direttore scientifico della Fondazione FareFuturo e intellettuale di riferimento della destra italiana, ha curato la prefazione del testo che, in oltre trecento pagine, ripercorre, con dovizia di particolari e documentate fonti bibliografiche, i sessant'anni del più importante movimento giovanile politico italiano. Dalla Giovane Italia ad Azione Giovani, un'evoluzione, quella dei giovani di destra, partiti neofascisti e ora prossimi a confluire nel Pdl, e in Europa nel Ppe, arricchita da fotografie e spiegata da racconti inediti dei protagonisti di epoche diverse.